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Presentazione della mostra a cura di Aldo Spinardi

…queste colline illuminate sono un ricordo dei falò e quella luce, fredda sì ma accarezzante, ma affettuosa, con i pochi tocchi di giallo o di arancio, è proprio un velo luminoso, un grande falò che non crepita, che non fiammeggia, un ricordo sul filo della tenerezza, anche se contenuto, com’è il carattere dei nostri contadini, che tengono l’amore, l’affetto, il sentimento dentro e non osano, perché sono fatti così, nemmeno dare un bacio alla mamma morente, quasi che il rispetto e l’amore non possano coincidere.

C’è, nel carattere dei nostri contadini e nell’arte di Lionello Morone un pudore, che ti lascia non sorpreso, ma incantato, a raccogliere questo silenzio per esserne partecipe, per goderne con quella serenità che essi, uomini e colline, sulla tela e nella realtà, ti infondono.

Le colline di Lionello Morone sono sempre senza alberi, quasi un richiamo prepotente a non distruggere ciò che la natura ha creato; e i tocchi di colore sono la vita, possono essere uomini, animali, casolari; in qualche occasione il nostro artista ha voluto ingrandire questi casolari dalle finestre piccole, di un colore rosa tenero, a significare il deserto, l’abbandono della terra.

Sono opere che ti lasciano addosso un brivido, un freddo desolante.

Ma i fiori dei ciliegi, dei peschi, dai dorsi delle colline ad un certo punto sono saliti in cielo, quasi uno stormo di uccelli danzanti nella luce, essi stessi fonte di luce e di gioia.

I paesaggi, le colline, senza alberi, senza vita, esprimono una tristezza contenuta, ed ecco questo coro di angeli, di fiori appena accennati, di coriandoli gaudiosi che danzano in cielo, fino a sfiorare le colline e poi su, verso l’azzurro, a cantare un inno di gioia, a proclamare che è tempo di bandire la tristezza, di rompere il cerchi della solitudine. La luna fredda non c’è più, non è necessaria la sua presenza allorché i fiori o binchi o rossi o gialli cantano la primavera dell’anima.

Non è un’esplosione, anche questa è una gioia contenuta, anche qui c’è il pudore di essere troppo felici, per non offendere chi felicità non ha.

Talvolta tutta la collina diventa un fuoco e qualche lingua più viva più rossa si spinge contro il cielo oscuro: qui non sai se sia gioia o terrore, se sia felicità o paura, anzi, poiché possono coesistere nell’animo umano sentimenti opposti e contrastanti come odio e amore, diremo che questo incendio esprime, in un impasto non composito, l’uno e l’altro sentimento insieme.

E’ difficile che Lionello Morone si allontani dalla sua serena contemplazione, ma come si può ammirare ed annotare un volo d’uccelli, la luminosità della luna sui dorsi delle colline, così si può rimanere estasiati di fronte ad un incendio, che non è un rogo, ma che può significare felicità e distruzione allo stesso tempo.

C’è chi si crogiola nel dolore, che diventa felicità.

Lionello Morone penetra anche in questo animo, nei paesaggi che rappresentano questo stato d’animo, guarda e sorride. Così è l’umanità.

E così i fiori, bellezza fragile, vivono un giorno, i loro petali appassiscono, domani non sono più, di conto continua ad esistere tutto ciò che l’uomo ha fatto con le proprie mani, anche le cose più insignificanti. Insignificanti sì, ma vive.

E’ il discorso di un semplice, di un artista che ama le cose semplici, non soltanto la luce grandiosa dei falò, non soltanto l’incendio delle colline che s’innalzano verso il cielo come torce infuocate, a benedire insieme e a maledire, per confermare l’eterna contraddizione che è nell’uomo e nella natura.

Aldo Spinardi

 

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